Il sogno del simbolo: metamorfosi tra memoria e possibilità


Photo Barbara Corsico  |  Progetto Mustras 2025 

L'oggetto, nella sua forma più profonda, non è mai un elemento neutro o statico. Esso esiste sempre in relazione a un contesto, a una storia, a un tessuto di significati che lo precedono e che, attraverso di esso, si trasformano. Non si tratta di una semplice questione estetica o funzionale, ma di un processo più profondo, di natura simbolica e psicodinamica, che mette in gioco le dinamiche tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione, tra identità e cambiamento.

Ogni cultura costruisce i propri simboli e, attraverso di essi, struttura la propria visione del mondo. I simboli non sono mai dati una volta per tutte: si modificano nel tempo, si caricano di nuovi significati, diventano altro rispetto a ciò che erano in origine. Questo processo non è lineare né privo di conflitti, perché ogni trasformazione simbolica comporta una ridefinizione della memoria e dell'identità collettiva. Il cambiamento, quando si innesta su un tessuto simbolico condiviso, non può mai essere una frattura netta, ma si muove in una tensione continua tra conservazione e rielaborazione.

Nel pensare a come i simboli si trasformano, è necessario riflettere su cosa accade quando un simbolo perde il suo legame con la tradizione. L'innovazione, se concepita come un taglio netto con ciò che la precede, rischiando di diventare puro formalismo, un gioco di rotture prive di radici. Questo vale per ogni ambito in cui il simbolo prende forma, perché un simbolo senza connessione con la propria matrice originaria smette di essere riconoscibile, perde la capacità di parlare alla collettività e diventa una superficie priva di profondità.

L'oggetto, e più in generale l'immagine, è sempre attraversato da una tensione tra ciò che rappresenta e ciò che è. La forma visibile non è mai un dato assoluto, ma una costruzione che rimanda a qualcos'altro, un segno che può essere continuamente messo in discussione. Spesso si è portati a credere che l'immagine abbia un legame diretto con la realtà, che sia una sua riproduzione fedele, ma in realtà essa è un atto di mediazione, un luogo in cui il senso viene negoziato e talvolta sovvertito. È proprio in questa ambiguità che risiede la possibilità della trasformazione: se un segno può essere decostruito, esso può anche essere riscritto, ridefinito, aperto a nuove possibilità di significato.

Nel vissuto individuale, il simbolo ha la funzione di mediare tra livelli diversi della realtà psichica, permettendo di dare forma all'inesprimibile, di trasformare l'indicibile in qualcosa che può essere pensato e condiviso. La sua forza sta proprio in questa capacità generativa, nella possibilità di creare continuità tra elementi apparentemente inconciliabili. La trasformazione simbolica è quindi un processo che avviene per stratificazione, per rielaborazione progressiva, e non per sostituzione radicale.

Nel rapporto tra tradizione e cambiamento, il simbolo opera come un ponte, un territorio intermedio in cui il nuovo non distrugge il passato, ma lo riarticola. Ogni cultura affronta questo processo in modi diversi, ma in tutte le società si trovano momenti di passaggio in cui alcuni simboli vengono ridefiniti, assumono nuovi significati, rispondono a nuovi bisogni senza perdere del tutto il legame con la loro origine. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei momenti di trasformazione sociale e storica, quando le forme simboliche si trovano a dover integrare nuove istanze senza rinnegare ciò che le ha generate.

Ma cosa accade quando il segno si ribella alla sua funzione rappresentativa? Quando l'immagine non è più trasparente rispetto al suo significato, ma si fa opaca, enigmatica, capace di mettere in discussione il legame tra ciò che è visto e ciò che è pensato? L'oggetto non è mai solo ciò che appare: esso porta con sé un gioco di rimandi, una rete di significati che non si esauriscono mai in una sola interpretazione. Ogni innovazione autentica lavora su questa ambiguità, su questa possibilità di rivelare e al tempo stesso di occultare, di mostrare e di negare.

Quando il simbolo si svuota del suo significato originario senza che vi sia una vera trasformazione, si assiste a un fenomeno di perdita di senso. Questo accade quando il legame tra tradizione e innovazione viene reciso in modo artificiale, senza che vi sia una reale elaborazione del passaggio. In questi casi, l'innovazione rischia di diventare un esercizio sterile, una ripetizione di forme prive di profondità, mentre la tradizione viene ridotta a un repertorio di cristallizzate, incapaci di dialogare con il presente.

La necessità di un'innovazione radicata nella tradizione emerge con forza nei momenti di crisi culturale e sociale. Quando il contesto muta rapidamente, si assiste a un'accelerazione delle trasformazioni simboliche, spesso vissute come minacciose o destabilizzanti. In questi momenti, il rischio è quello di una polarizzazione: da un lato, un attacco rigido alle forme simboliche del passato, che le trasforma in reliquie inamovibili; dall'altro, una rottura drastica, che cancella ogni continuità e produce un senso di spaesamento.

Ma il simbolo non è mai un semplice codice da decifrare: esso è un campo di forze, un luogo di tensione in cui il senso non è dato una volta per tutte, ma sempre in divenire. Ogni trasformazione simbolica è una lotta tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere, tra l'eredità del passato e l'apertura verso l'ignoto. In questo spazio intermedio, il senso non si lascia mai catturare completamente: esso sfugge, si sposta, si ridefinisce.

L'essere umano, nella sua dimensione psicologica più profonda, necessita di continuità simbolica per orientarsi nel mondo. La costruzione dell'identità individuale e collettiva si basa su una capacità di integrare il cambiamento senza perdere il senso di sé. È per questo motivo che le trasformazioni simboliche più efficaci non sono mai quelle che impongono una cesura netta, ma quelle che 

riescono a riformulare il passato in una nuova chiave, mantenendo una relazione viva con esso.

Questo principio vale anche a livello sociale e culturale: la vitalità di una tradizione non sta nella sua immutabilità, ma nella sua capacità di trasformarsi senza dissolversi. Ogni epoca reinterpreta il proprio patrimonio simbolico alla luce delle proprie esigenze e sensibilità, ma le trasformazioni più profonde e durature sono quelle che riescono a stabilire un dialogo tra le forme passate e le istanze del presente.

Se un simbolo riesce ad evolversi mantenendo un legame con la propria origine, allora esso continua ad essere riconoscibile, continua a parlare alla collettività, continua a generare significati. Se invece viene strappato dal proprio contesto senza un processo di rielaborazione, rischiando di diventare un'immagine svuotata, un involucro senza anima.

L'autenticità, quella che lascia un segno duraturo nella cultura, nasce sempre da questa capacità di mediazione tra passato e futuro. Non si tratta di una semplice questione di forma, ma di un processo profondo, che coinvolge la dimensione psicologica, sociale e simbolica dell'essere umano.

La sfida è allora quella di pensare a un cambiamento che non sia solo una negazione di ciò che è stato, ma una sua riformulazione, un modo per rendere ancora vivo e capace di parlare a chi lo eredita. Un cambiamento che sia radicato nel simbolo, nella memoria, nella continuità del senso.

Giovanni Dessena

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