Convegno Adolescenza e Identità negate
Intervista al Dott. Giovanni Dessena - 18 Maggio 2019 Oristano
Nel suo intervento ha parlato di “identità negata” negli adolescenti. Cosa intende esattamente con questa espressione?
GD Quando parliamo di identità negata, ci riferiamo alla difficoltà crescente che gli adolescenti di oggi incontrano nel costruire un senso di sé stabile e autonomo. Questo processo è strettamente connesso al contesto in cui vivono, e in particolare alla famiglia. La famiglia, da sempre, ha avuto il compito di accompagnare i figli nel percorso di crescita, fornendo loro strumenti per affrontare il mondo. Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte a famiglie che faticano esse stesse a definire la propria identità sociale e culturale. Se gli adulti sono in crisi, come possono supportare gli adolescenti nella loro individuazione?
Quindi è cambiato il concetto stesso di emancipazione nell’adolescenza?
GD Esatto, dobbiamo chiederci se i modelli tradizionali di emancipazione siano ancora validi. In passato, l’adolescente si separava gradualmente dalla famiglia per affermare la propria indipendenza. Oggi, invece, ci troviamo in una situazione paradossale: la società richiede autonomia, ma al tempo stesso non offre gli strumenti per ottenerla. I giovani si trovano a dover navigare tra molteplici appartenenze senza una guida chiara, mentre anche le famiglie e le istituzioni vivono una profonda crisi di riferimento.
Nel suo intervento ha parlato anche del ruolo della famiglia, spesso descritta come il problema principale della crisi adolescenziale. Qual è il suo punto di vista?
GD La famiglia viene spesso vista come la causa della crisi identitaria degli adolescenti, ma la realtà è più complessa. Storicamente, la famiglia aveva un ruolo chiaro e riconosciuto all’interno della società. Oggi, invece, si trova frammentata, incerta, schiacciata tra richieste sociali contraddittorie. Ci si interroga sulla figura del padre, sul ruolo della madre, sulla loro capacità di educare i figli in un contesto in continuo cambiamento. Ma la domanda che dobbiamo porci è: la famiglia va curata o va coinvolta in un dialogo attivo per supportare il processo di crescita dei figli?
Sembra esserci una discrepanza tra il discorso “sulla” famiglia e il discorso “con” la famiglia. Cosa intende?
GD Esatto. Negli ultimi decenni si è parlato molto della famiglia, analizzandola, studiandola, spesso mettendone in evidenza le fragilità. Ma non si è fatto altrettanto per dialogare con le famiglie, per ascoltarle, per costruire con loro strategie di supporto. La famiglia viene vista come un oggetto su cui intervenire dall’esterno, piuttosto che come un soggetto attivo con cui collaborare. Questo genera un paradosso: invece di rafforzare il tessuto familiare, si contribuisce a renderlo ancora più insicuro.
Lei ha parlato di un cambiamento nel concetto stesso di identità. Quali sono le implicazioni di questa trasformazione?
GD Tradizionalmente, l’identità era vista come una proprietà stabile dell’individuo, qualcosa di definito e riconoscibile nonostante i cambiamenti del contesto. Oggi, invece, viviamo in una società che ha perso le sue referenzialità univoche: l’identità non è più un dato fisso, ma un processo in continuo mutamento, influenzato dalle molteplici appartenenze e dai contesti sociali in cui ci troviamo. Questo genera smarrimento, ma anche nuove possibilità creative.
Lars Dencik, ad esempio, ha osservato che nelle società più avanzate le affiliazioni sociali tradizionali – come razza, genere, famiglia o classe sociale – stanno perdendo importanza. Al loro posto, si assiste a una ricerca continua di nuovi gruppi di appartenenza, nel tentativo di costruire un’identità che dia sicurezza. Questo però genera insicurezza e instabilità, perché nessuna appartenenza è più definitiva.
In che modo questa crisi identitaria influenza il rapporto tra famiglia e società?
GD Un tempo, la comunità era fondata su patti di alleanza chiari tra le diverse istituzioni educative e sociali. Oggi questi patti si sono indeboliti: i ruoli non sono più riconosciuti, le diverse agenzie educative si guardano con sospetto anziché collaborare. Questo clima di sfiducia ha ripercussioni dirette sugli adolescenti, che non trovano più punti di riferimento solidi a cui appoggiarsi per costruire la propria identità.
Oggi assistiamo a una progressiva espropriazione della famiglia rispetto alla trasmissione dei patrimoni culturali e valoriali. Le agenzie del sociale – dalla scuola agli asili nido – veicolano una cultura sempre più separata da quella familiare, e la famiglia rimane relegata al ruolo di “luogo degli affetti”. Ma se la famiglia non partecipa attivamente alla costruzione dell’identità sociale dei figli, il rischio è che questi ultimi si sentano sempre più smarriti e dipendenti dai contesti esterni.
Cosa possiamo fare, dunque, per affrontare questa crisi?
GD Dobbiamo abbandonare la logica dell’intervento “sulla” famiglia e adottare una prospettiva di lavoro “con” la famiglia. Significa riconoscere che la crisi dell’adolescenza non è un problema individuale, né esclusivamente familiare, ma riguarda l’intera società. Non possiamo più pensare di risolvere il disagio giovanile senza interrogarci sul nostro stesso ruolo di educatori e operatori sociali.
Dobbiamo anche rivedere il concetto di emancipazione: non si tratta più solo di separarsi dalla famiglia, ma di imparare a transitare tra diverse appartenenze senza sentirsi persi. Come dice Novelletto, c’è una differenza tra emancipazione e scissione: la prima è un processo evolutivo positivo, la seconda è una rottura traumatica. Se non costruiamo ponti tra i diversi sistemi di appartenenza, rischiamo di favorire scissioni distruttive piuttosto che autonomie mature.
In conclusione, qual è il messaggio chiave che vorrebbe lasciare?
GD Il cambiamento sociale in cui siamo immersi è profondo e irreversibile. Non possiamo limitarci a cercare colpevoli o a imporre soluzioni dall’alto. Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza, accettando che i paradigmi del passato non sono più sufficienti. Per aiutare gli adolescenti a costruire un’identità solida, dobbiamo prima di tutto costruire nuovi modi di appartenenza, più flessibili, più dialogici, più creativi.
Lavorare con l’adolescenza oggi significa accettare di essere parte del cambiamento, mettendo in discussione le nostre stesse certezze e aprendoci a nuove possibilità. La sfida è grande, ma solo così potremo accompagnare i giovani verso un’identità autentica e consapevole.
Un’intervista che ci invita a una profonda riflessione sul ruolo della famiglia, della società e delle istituzioni nel percorso di crescita degli adolescenti. Un tema che riguarda tutti noi, e che richiede nuove risposte e nuove strategie di intervento.